Archeo Monografie n. 43 – Giugno/Luglio 2021
La parola museo non gode di buona fama e, nel linguaggio comune viene spesso utilizzata per indicare qualcosa di polveroso, di vecchio, di separato dalla vita del nostro tempo. Non si contano le stroncature, penso a quella dello scrittore inglese David Herbert Lawrence: «Musei, musei, musei, con gli oggetti manipolati come a lezione, per illustrare a dovere pericolanti teorie di archeologi, folli tentativi di sistemare e inserire in uno schema prefissato cose che, in sé e per sé, di ordine non ne hanno alcuno». O a quella di un archeologo, Mario Bizzarri (1914-1969), che pure vi ha lavorato a lungo: «I musei “vivi” mi piacciono, non questi ordinati cimiteri dei quali siamo i diligenti becchini. L’oggetto “catturato” e messo dietro il vetro mi dà una profonda malinconia e un vago senso di colpa». Potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui.
Ho trascorso gran parte della mia vita professionale nei musei e su tali giudizi ho riflettuto a lungo. Proprio per il fatto che vi ho lavorato, insieme a persone con competenze e ruoli diversi, non mi è sembrato che fossero separati dal presente: ne faceva parte, ma posso capire le obiezioni.
Comprendo le critiche che segnalano l’importanza di non estrapolare un oggetto o un’opera d’arte dal proprio contesto, dal luogo per il quale sono stati progettati, o dove sono stati utilizzati. Resta il fatto che tali contesti – nello scorrere del tempo – sono stati spesso distrutti o, comunque, sono andati perduti e allora il museo diviene il luogo dove oggetti e opere d’arte possono essere conservati, dove può essere offerta loro la possibilità di una nuova vita. Se saputi osservare, interpretare e narrare, oggetti e opere d’arte possono restituire, citando lo scrittore Gesualdo Bufalino, «il calore residuo delle esistenze che furono, le pedate furtive della storia minore, quasi sempre piú maestra d’ogni altra». Una sensibilità che si ritrova a pieno ancora in Orhan Pamuk, insignito nel 2006 del Premio Nobel per la letteratura. Ha detto lo scrittore: «Io amo i musei e non sono il solo a trovare che mi rendono piú felice ogni volta che li visito», e il motivo lo individua nel fatto che «i musei come i romanzi, possono raccontare la storia di un singolo individuo».
Nello scrivere questo testo ho cercato di tenere presente il suggerimento, soffermandomi, per esempio, sui singoli uomini e donne che hanno voluto un museo, o lo hanno accompagnato nella crescita, oppure seguito da vicino per un certo numero di anni e spesso difeso. Il rischio di una separazione del museo dal proprio contesto non si può, comunque, sottovalutare: le mura che lo ospitano possono dividerlo dalla città, dal quartiere, dal paese, dal borgo in cui ha sede, dall’area archeologica che documenta. Occorre, allora, lasciare le sale e percorrere le vie, i vicoli, le piazze, raggiungere i siti archeologici di riferimento: le pareti degli edifici devono separare, ma non dividere. Nel museo non è conservato solo il nostro passato, come all’esterno non va collocato soltanto il presente. Storia e paesaggio, oggi e ieri, divengono vicini, intercambiabili, quasi sovrapponibili: è un’illusione – se si vuole – ma una piacevole illusione.
Una piacevole illusione che invito ad assecondare mentre propongo un viaggio in Italia attraverso i suoi musei archeologici. Un viaggio che – di necessità – avrà uno sguardo privilegiato sul passato della penisola italiana, ma che non deve (e, in fondo, non può) sorvolare sulle altre epoche, né tralasciare la contemporaneità.
Un itinerario che consentirà di misurarsi con la complessità storica e la diversità dei paesaggi italiani: dal Museo del ponte romano di Pont-Saint-Martin, in Valle d’Aosta, al Museo Archeologico Regionale Eoliano «Luigi Bernabò Brea» nell’isola di Lipari; dal Museo delle Palafitte di Fiavé, in Trentino-Alto Adige, al Museo Archeologico «Ferruccio Barreca» nell’isola sarda di Sant’Antioco. Sarà sufficiente avvicinarsi alle finestre dei singoli musei – quando non siano state nascoste alla vista per seguire qualche criterio museografico del momento – per osservare altre differenze: facciate di monumenti; abitazioni di epoche diverse in centri storici piú o meno vasti e piú o meno conservati; scorci su una campagna che sembra essere rimasta ferma nella storia, o sul mare.
Difformità che si possono osservare nella stessa modalità di gestione: statale, o regionale, o provinciale, o comunale, oppure affidata a fondazioni, o privata e anche questo suggerisce indirettamente la realtà politica e sociale del nostro Paese. I musei archeologici italiani sono in un numero decisamente piú alto di quelli che potevo segnalare e quindi ho operato una selezione. Ho costruito, di conseguenza, una sorta di elenco con presenze che possono essere discusse, ed esclusioni che possono apparire non condivisibili. Ne sono consapevole, ma posso assicurare che ho altrettanta e piena consapevolezza dell’importanza dell’intera rete: dal museo di una sola stanza a quello che occupa piani interi di palazzi signorili. Da quello con centinaia di migliaia di visitatori in un anno, a quello con qualche decina: non tralasciate di visitarne alcuno quando sarete in viaggio, o avrete del tempo disponibile nella vostra città.
Giuseppe M. Della Fina
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PRESENTAZIONE
Andare per musei archeologici e scoprire l’Italia
NORD
Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna
CENTRO
Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo
SUD
Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria
ISOLE
Sicilia, Sardegna