Recensione originariamente pubblicata su Archeo n. 430 Dicembre 2020
Massimo Vidale
JIROFT
La civiltà che non c’era
Il Novissimo Ramusio 20,
ISMEO, Roma, 252 pp.,
ILL. COL. e B/N
32,00 euro
ISBN 978-8866871842
www.scienzeelettere.it
È possibile che ancora oggi, nel XXI secolo, si pubblichi un libro scientifico, perlopiú per i tipi di un’istituzione veneranda, e lo si intitoli a una «civiltà che non c’era»? Suggerendo, cosí, la possibilità che la nostra ormai illimitata conoscenza del mondo abbia saltato a piè pari interi capitoli del passato? I nostri lettori piú fedeli, in verità, saprebbero rispondere meglio di molti altri a questi interrogativi, dal momento che hanno
potuto seguire, negli anni, le tappe della straordinaria vicenda narrata da Massimo Vidale in questo bellissimo libro (vedi, ultimo, in ordine di
tempo, «Archeo» n. 419, gennaio 2020; anche on line su issuu.com).
In effetti, la risposta è affermativa: Jiroft. La civiltà che non c’era racconta la vicenda della scoperta di un mondo – una civiltà, paese o nazione – fino a poco tempo fa del tutto ignorato dalla storiografia del Vicino Oriente. Siamo nell’Iran sud-orientale, ai margini meridionali della provincia di Kerman, lungo le rive del fiume Halil (in persiano Halil Rud), non lontani dall’odierna cittadina di Jiroft. Oggi sappiamo che qui, in questa valle posta tra le ultime propaggini dei monti Zagros a ovest e le sconfinate distese montuose e le valli del Baluchistan, nel III millenio a.C. fiorí una civiltà ancora iscritta nell’orizzonte della protostoria. Una civiltà senza scrittura (o cosí sembrò inizialmente, fino a che non apparvero le prime tavolette coperte dai segni di una scrittura sconosciuta), in grado, tuttavia, di dar vita a una produzione di oggetti d’arte dalle caratteristiche uniche, di stupefacente e raffinata bellezza: si tratta di vasi scolpiti soprattutto in una pietra del tutto particolare, la clorite, ma anche in steatite e lapislazzuli, e finemente incisi con raffigurazioni di animali fantastici, esseri umani e ibridi, affollate scene di apparente contesto mitologico…
E proprio l’attrazione esercitata da questi reperti rivelò al mondo l’esistenza della civiltà dell’Halil Rud, o, piú semplicemente (anche se forse impropriamente), civiltà di Jiroft. Un’esistenza che traspare lentamente, non attraverso una grande, clamorosa scoperta rivelatrice, ma in maniera indiretta, «irregolare» come scrive Vidale: alcuni reperti emergono da scavi nelle piú diverse località del Vicino Oriente (dalla Siria alla Mesopotamia, dall’Asia centrale alla Penisola arabica) – senza che vi sia un filo che, a prima vista, unisca questi affioramenti – e poi, soprattutto, si diffonde mediante le maglie del mercato antiquario. E cosí, le vetrine dei grandi musei archeologici dell’Occidente ne espongono singoli reperti, mirabili e ammirati, ma sono oggetti ancora senza storia…
Il libro di Vidale parte dal contributo dato dagli archeologi italiani – riuniti sotto l’egida dell’ISMEO (l’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente, oggi rinominato Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) – alla scoperta della civiltà di Jiroft, oggi a buona ragione identificata con il regno di Marhaši, una tra le principali potenze politiche, economiche e commerciali dell’Iran orientale nella seconda metà del III millennio a.C. e ampiamente documentata dalle iscrizioni cuneiformi mesopotamiche. È un racconto «dall’interno» (Vidale parteciperà agli scavi di Jiroft su invito del responsabile iraniano dell’esplorazione archeologica dell’Halil Rud, l’archeologo Youssef Madjidzadeh), ma è, soprattutto, un grande racconto: in cui una minuziosa e approfondita trattazione scientifica si affianca alla histoire événementielle dell’esplorazione archeologica, fatta di grandi rivelazioni e di inganni, di personalismi e paure accademiche, di reperti falsi e intuizioni straordinarie. La chiarezza dell’esposizione e la qualità della scrittura, unite a un ricco e puntuale apparato illustrativo, rendono la lettura di Jiroft. La civiltà che non c’era un’esperienza di grandissimo profitto. Per gli «addetti ai lavori» come per tutti coloro che, ancora oggi, si emozionano alle vicende passate dell’umanità.
Andreas M. Steiner
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