Recensione pubblicata su Archeo n. 425 – Luglio 2020
Federica Chiesa
NEI LABORATORI DELL’ARCHEOLOGIA. TEMI PER IL TERZO MILLENNIO
Conversazione in controluce con Maria Bonghi Jovino
Mimesis, Milano, 102 pp., ill. in b/n
10,00 euro
ISBN 9788857542140
http://mimesisedizioni.it/
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Dalla conversazione tra Maria Bonghi Jovino e una sua allieva, Federica Chiesa, è scaturito questo libro, che ripercorre una stagione dell’archeologia italiana e i suoi mutamenti. Va ricordato, innanzitutto, che l’intervistata è un’etruscologa di fama internazionale, nonché promotrice dei primi scavi sistematici nell’area urbana di un’importante città-stato etrusca quale fuTarquinia, mentre l’intervistatrice insegna attualmente archeologia dell’Italia preromana e metodologia della ricerca archeologica presso l’Università degli Studi di Milano.
Il filo conduttore della conversazione è rappresentato dalle tappe della formazione e dell’impegno professionale di Bonghi Jovino. I ricordi partono dagli anni della seconda guerra mondiale e spicca la figura di una zia, Franca Scaramellino Renzi, tornata dal campo di concentramento di Ravensbrück nell’autunno del 1945. Era stata catturata insieme al marito, Camillo Renzi, Commissario di Pubblica Sicurezza, che collaborava con la Resistenza in Valle d’Aosta. L’uomo era stato internato a Dachau, dove morí. Lei, maestra elementare, dopo la fine della guerra, non volle insegnare in scuole del centro di Napoli, ma nelle periferie, a Grumo Nevano, a Casoria, ad Afragola.
Poi il ricordo va agli anni del liceo, in una Napoli in piena ricostruzione, e a quelli universitari, trascorsi sempre nella città partenopea, dove si laureò con Amedeo Maiuri. Quindi il tempo trascorso in Olanda presso l’Università di Leida, la frequenza alla Scuola Nazionale di Archeologia a Roma e l’incontro con Massimo Pallottino, uno dei suoi maestri insieme a Ettore Lepore: «Due studiosi assai differenti tra loro». Gli anni erano quelli di un rinnovamento profondo dell’archeologia e di una
grande vivacità culturale segnati dall’arrivo della New Archaeology e dall’esperienza della rivista Dialoghi di Archeologia.
Si giunge quindi al conseguimento della cattedra presso l’Università degli Studi di Milano: «Arrivai con le atmosfere napoletane nel cuore, con i ricordi romani a tutto campo». Da quel momento hanno avuto inizio decenni intensi di attività, che hanno portato alla creazione di una scuola milanese nell’ambito degli studi sull’Italia preromana. Con l’attenzione concentrata soprattutto su Capua e Tarquinia.
Nelle pagine del libro sono tratteggiate con vivacità le figure dei numerosi studiosi incontrati: ci si limita a menzionare Paola Zancani Montuoro («andavo spesso a trovarla»), Jacques Heurgon («aveva con il gentil sesso modi eleganti e discreti da vecchio gentiluomo»), David e Francesca Ridgway («conservo un loro dono con l’immagine di un esploratore»). Uno spazio ampio viene dato al metodo di lavoro caratterizzato da un approccio multidisciplinare e aperto alle innovazioni. In conclusione una sua riflessione: «L’insegnamento si combina con l’impegno civile, il docente umanista non può prescindere da questa condizione».
Giuseppe M. Della Fina