Lorenzo Fabbri
Flora e il suo culto a Roma
Leo S. Olschki Editore, Firenze, 278 pp.,
11 figg. col. f.t.
30,00 euro
ISBN 978-88-222-6619-4
www.olschki.it
Recensione originariamente pubblicata su Archeo n. 418 – Dicembre 2019
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Tra gli Indigitamenta, cioè negli elenchi fissati dai pontefici romani per stabilire quali numi occorreva invocare in determinate circostanze e quali riti relativi dovevano essere compiuti, figura anche una «Signora dei fiori». È Flora, «colei che fa fiorire gli alberi da frutto», e compare tra i nomi delle potenze preposte alle fasi del lavoro agricolo, insieme, per esempio, a Sterculinus, che rende efficace la concimazione, a Seia, che protegge il seme nella terra, a Proserpina, che veglia sulla germinazione del grano, a Patellana, che fa germogliare la spiga.
Il culto di Flora – condiviso anche da Latini, Sabelli e Osci – aveva un suo apposito flamine ed era celebrato alla fine del mese di aprile, con la gioiosa e licenziosa festa dei Floralia.
Ma non si tratta banalmente d’una dea naturistica, d’una madre dei fiori primaverili. Lorenzo Fabbri, giovane
e valente studioso che ha già dato buona prova di sé con una precedente monografia sul papavero da oppio nella religione romana, c’introduce ai vari aspetti della morfologia di questa dea e nel mentre c’invita a riflettere sulla definizione e percezione che si aveva degli dèi nel mondo classico. Flora è una dea perfettamente romana, cui non si attribuisce neppure una genealogia ma che ha rapporti con altre potenze divine; presiede alla fioritura di tutte le piante, secondo i loro sviluppi stagionali, e ha un rapporto peculiare con le api per via del loro ruolo nella produzione del miele; non è tra le divinità maggiori di Roma, ma le sue feste non sono secondarie, con pratiche rituali e spettacoli teatrali finanche sensuali che risultano adatti al divertimento del popolo e rispondono alle aspettative della plebe.
È, insomma, una divinità complessa, con un culto capace di adattarsi al cambiamento dei tempi
e dei costumi, che si mantiene comunque, nella sua globalità, all’interno del piú ampio ciclo delle cerimonie
agrarie. Oltre all’analisi delle competenze e dei riti, una terza sezione del libro è dedicata all’esame dei reperti iconografici, dalle rare rappresentazioni monetali dell’antichità alle opere d’arte, anche d’epoca moderna, cui è stato assegnato il nome convenzionale di Flora: con chiarezza e originalità, Lorenzo Fabbri rende conto
delle attribuzioni in questione e verifica la corrispondenza effettiva tra l’oggetto raffigurato e la sua tradizionale denominazione risalente a questa antica divinità italica.
Sergio Ribichini