Editoriale
Una leggenda sulle rive del Nilo
«Cosí Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani». Basterebbe questo verso biblico tratto dagli Atti degli Apostoli (7, 22) a offrire una sintesi piú che suggestiva di quanto narra l’egittologa Francesca Iannarilli nel terzo contributo dedicato ai «Popoli della Bibbia». E se nel numero precedente, parlando di Sumeri, Assiri e Babilonesi, affermavamo che senza la Mesopotamia non esisterebbe la storia dell’antico Israele, come potremmo immaginare il racconto biblico senza uno sfondo composto dalle colorate vesti di faraoni e regine, dal Nilo bordato da canneti e piante di papiro? Scopriremo, di contro, come la riscoperta della civiltà egiziana, un mondo fino ad allora dimenticato, puntellato da monumenti giganteschi quanto enigmatici, sia nato proprio sotto la scorta della lettura delle Sacre Scritture… È un legame «biunivoco», quello che lega la storia dell’Egitto al popolo d’Israele. E se vi è una figura in cui le due entità simbolicamente si fondano, questa è rappresentata dal piú grande di tutti i profeti, quel discendente dei patriarchi Giacobbe e Giuseppe, nato nella terra di Gosen e salvato dalle acque del Nilo proprio da coloro che lo avrebbero voluto morto.
In un celebre scritto di Sigmund Freud (L’uomo Mosè e la religione monoteistica, 1939), il padre della psicoanalisi (che fu anche accanito collezionista di antichità egiziane) individua in Mosè – il cui nome riecheggia in quello di piú di un faraone (Ahmose, Thutmosi, Ramesse) – un alto dignitario della corte faraonica e seguace dell’eretico Akhenaton, promotore di una prima forma di monoteismo. Piú di recente l’egittologo Jan Assmann ha dedicato all’argomento un’affascinate trattazione (Mosè l’egizio, Adelphi, Milano 2000) in cui, d’altra… (continua la lettura sul numero di Archeo, richiedi il numero arretrato o abbonati!)
Andreas M. Steiner